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La dipendenza da lavoro: gli “workaholic” e lo smart working

Il lavoro può diventare una dipendenza e, con il recente boom dello smart working, molti appartenenti alla Generazione X stanno cominciando.

Quando si parla di lavoro in questo periodo la prima cosa che viene in mente è senza dubbio lo smart working. Con la recente crisi economica provocata dalla pandemia si è posto come soluzione ideale al problema, ritagliandosi un posto nella vita quotidiana di tutti. Molte imprese sono infatti riuscite a rimanere attive, nonostante la quarantena, solo grazie a questo sistema. Uno spunto forte, in grado di modificare la società insomma… forse anche un po’ troppo.

Stando infatti ad un recente studio della società Michael Page, specializzata nella ricerca di personale qualificato, molti dei suoi recenti candidati presentano sintomi di “dipendenza da lavoro”. Questo dato ha cominciato ad impennarsi dall’inizio di Marzo, in concomitanza con l’inizio della quarantena. C’è chi potrebbe ribattere che, data la situazione, i dati potrebbero essere falsati dalle schede dei giovani in cerca di lavoro e disposti a tutto. Non è così: infatti il 63% di questi soggetti appartiene alla Generazione X e sono inseriti già da diverso tempo nel mondo del lavoro.

 

Quando il lavoro diventa una dipendenza

È evidente che con il passaggio ad un tipo di lavoro totalmente telematico molti si siano ritrovati a dover affrontare un cambiamento netto nei propri ritmi. Il carico di responsabilità individuale e di organizzazione richiesto è di gran lunga superiore rispetto al classico “posto in ufficio”. Per far fronte ad un simile impegno la maggior parte di questi soggetti ha quindi scelto di concentrare tutte le proprie energie sul lavoro, trasformandosi in dei veri workaholic.

Il concetto di workaholic è stato introdotto nel 1971 da Wayne Oates per indicare il bisogno incontrollabile di lavorare incessantemente, usato dal soggetto per evitare emozioni negative, relazioni o responsabilità. Si tratta di una vera e propria dipendenza facente parte delle New Addiction, assuefazioni a comportamenti piuttosto che a sostanze, assieme alla Internet Addiction e allo Shopping Compulsivo.

In Italia è ancora poco conosciuto ma in altri paesi, dove vige una diversa etica del lavoro, si tratta di un fenomeno diffuso e a volte preoccupante. In Giappone ad esempio i numeri delle morti per Karōshi (morte per eccesso di lavoro) e per Karo-Jisatsu (suicidio per troppo lavoro) crescono di anno in anno. Non si tratta quindi di una questione da prendere sottogamba, ma di una problematica seria che deve essere affrontata con giudizio.

 

Il futuro del lavoro

Sembra quasi un paradosso ripensare adesso a com’era considerato lo smart working all’inizio della pandemia. Molti imprenditori infatti ritenevano che fosse un sistema inefficiente, non potendo più controllare di persona i propri dipendenti. La clausura forzata ha dimostrato però che avevano torto: i risultati sono stati ottimi e quasi tutti si sono convertiti a questo nuovo “standard”. Stiamo parlando infatti di un sistema che presenta minori costi, rischi ridotti e, di conseguenza, guadagni potenzialmente molto più alti: il suo successo, una volta superati i timori, era praticamente scontato.

Lo smart working si è dimostrato talmente efficace che adesso molte aziende si stanno addirittura organizzando per renderlo permanente. Tra questi un esempio eclatante è Tim, che infatti ha già intenzione di ridurre i propri spazi del 30% secondo il Sole 24 Ore. Pensare però di poter semplicemente far svolgere il lavoro a casa come se nulla fosse sarebbe un grave errore.

Si tratta infatti di un cambio ben più profondo dell’adottare una nuova metodologia di lavoro. Qui viene influenzato pesantemente lo stile di vita dell’impiegato, che si vede privato di una divisione netta fra casa e lavoro. Non sono ancora chiari infatti gli effetti che questo sistema possa avere sul lungo termine. Il cervello, per quanto ne sappiamo, dopo 18 o 24 mesi potrebbe normalizzare questa routine come invece cedere per lo stress accumulato e mai sfogato.

Per questo è necessario muoversi tutti verso quello che io definisco vero smart working, non la versione improvvisata che abbiamo conosciuto sinora. È chiaro ormai che il lavoro da casa sarà sempre più utilizzato a discapito di quello in ufficio, in una vera e propria rivoluzione dell’industria. Come ogni altro grande cambiamento però deve essere tenuto d’occhio e seguito, senza lasciare spazio al caso. Non conoscendo quale sarà l’evoluzione del settore l’unico modo per mantenere i benefici di cui abbiamo goduto finora è essere noi stessi a stabilire delle linee guida che tengano in conto salute ed efficienza.

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