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Social e censura: riflessioni sul caso Trump

La censura attuata dai social con la chiusura degli account dell’ex-presidente Donald Trump è un evento senza precedenti, che può aprire la strada ad una serie

Nessuno si aspettava quello che è accaduto negli ultimi giorni: più che notizie, i filmati che venivano trasmessi dai telegiornali e dalle reti di tutto il mondo sembravano spezzoni di un film demenziale di serie B. In un giorno che l’America non scorderà tanto presto un gruppo di invasati ha invaso Washington D.C. e ha assaltato le sale di Capitol Hill, provocando gravi danni e mettendo in fuga i membri del Congresso. Al centro di tutto questo ancora una volta c’era l’ormai ex-presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, tramite i suoi profili, ha osteggiato apertamente l’insediamento del nuovo capo dello stato Joe Biden incitando i suoi sostenitori ad agire. Quest’oggi però non siamo qui per parlare di politica: siamo qui per una questione di censura.

Un fatto senza precedenti

Dopo i fatti ben noti avvenuti dall’altro lato dell’Atlantico si è scatenato un vero e proprio uragano mediatico, dove ogni singolo esponente della politica mondiale ha espresso il proprio pensiero. Quello che però ha lasciato davvero senza parole non sono state tanto le reazioni sui social, quanto le reazioni dei social stessi: in un manovra a sorpresa Facebook, Twitter, Instagram, Youtube, Twitch e TikTok hanno chiuso contemporaneamente gli account di Donald Trump in un ban multipiattaforma come non si era mai visto per un uomo di stato.

Le giustificazioni da parte delle aziende sono state varie, ma possono essere riassunte in linea di massima con quanto dichiarato da Mark Zuckerberg: “Crediamo che continuare a consentire al presidente di usare il nostro servizio in questo periodo sia semplicemente troppo pericoloso”. Se da un lato è vero che questo sia uno dei momenti più irrequieti della politica degli ultimi anni, di certo nessun social media dovrebbe mai assumere il ruolo di giudice e giuria. Un giuria in questo caso pilotata, dato che molte altre figure legate alla politica internazionale hanno utilizzato e utilizzano tutt’ora i social in maniera simile senza subire lo stesso trattamento. Tramite il ban di Trump si è venuto a creare un precedente in cui nel futuro le aziende potrebbero bloccare chiunque senza possibilità d’appello.

La censura non è una soluzione

Chi mi segue da tempo conoscerà già la mia posizione su questo argomento: sono profondamente contrario ad ogni forma di censura, in qualsiasi misura o ambito. Per me il web è e dovrebbe sempre rimanere un canale libero in cui ognuno può dire la sua, senza la paura che qualcuno possa impedirglielo. In particolare non dovrebbero essere certo delle compagnie appartenenti a dei privati a prendere simili decisioni. Ciò che è stato fatto nei confronti di Trump, pur se a fronte di un clima di tensione e caos, rientra di fatto in quello che possiamo definire un sopruso.

In questo caso poi si parla di una censura del tutto arbitraria e, in alcuni casi, addirittura strumentalizzata. Twitter ad esempio, dopo averlo bloccato gli ha lasciato però scrivere un ultimo tweet in cui ammette la sconfitta da Biden. Questo è un vero e proprio atto di controllo dell’informazione: è stato temporaneamente permesso sì al tycoon di utilizzare di nuovo la piattaforma, ma solo per mandare un messaggio che rispecchiasse la visione e la volontà del gestore del social. In questo caso inoltre si tratta di un tipo ancora più pericoloso di censura, che non si limita a cancellare quanto detto dalla persona ma gli “mette in bocca” parole non sue spacciandole come tali.

Per contrastare questa azione Trump ed i suoi simpatizzanti si sono spostati su Parler, social nato nel 2018 che si propone come alternativa “libera” alle altre reti. La risposta da parte dei Big della rete non si è fatta attendere… ed è stata a dir poco brutale: nel giro di 24 ore Parler è stato prima rimosso dagli store di Google Play e Apple e poi, alle ore 9 del 11/01/2021, il servizio è stato chiuso definitivamente quando anche Amazon l’ha cancellato dai propri server. Per quali che fossero le motivazioni da parte dei tre colossi del web, che a detta loro volevano fermare i messaggi di violenza, si è trattato di un vero e proprio atto di repressione.

Per quanto moralmente si possa condannare un individuo che ha abusato di un sistema di comunicazione libero divulgando le sue opinioni come verità, nessuno in un mondo civile ha il diritto di censura su un altro. La libertà di espressione è un diritto inalienabile e se questo comincia a venir meno si spiana la strada a qualsiasi totalitarismo. Il problema non è Trump e non lo sono nemmeno tutti i suoi emuli che utilizzano i social allo stesso modo: il problema siamo noi. Se siamo così privi di giudizio da non poterci informare autonomamente sui fatti in modo da farci un’opinione nostra, così smaniosi di violenza da trasformare una discussione in un’aggressione, così incapaci di distinguere la differenza tra vero e falso da dover necessitare di un controllo esterno per impedirci di cadere in errore non sarà che forse siamo noi a dover migliorare la nostra cultura digitale?

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