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Il riconoscimento facciale tra privacy e controversie

Le tecnologie per il riconoscimento facciale hanno raggiunto livelli di complessità tali da permetterne l’impiego nei più svariati campi, dalla sicurezza privata al marketing, con risultati a dir poco sorprendenti. L’uso eccessivo e poco chiaro di questa tecnologia fatto da alcuni però ha spinto la Commissione Europea ad intervenire sulla questione.

Se fino ad una ventina di anni fa il riconoscimento facciale e le IA erano ottimi spunti per opere fantascientifiche, oggi queste tecnologie fanno parte della vita di tutti i giorni. Tra smartphone dotati di Face ID, assistenti intelligenti nelle nostre case e continue notizie su TV e giornali riguardo la violazione della privacy a mezzo web ci sentiamo costantemente sotto controllo da parte di occhi artificiali, che registrano ogni nostra azione per poi inviare i dati chissà dove. Le cose in realtà sono ben diverse, ma la paura eccessiva verso questo tipo di tecnologia rischia di portare ad un’abolizione totale di tali sistemi.

Tecnologia ed abusi

Nel corso degli anni questa tecnologia si è perfezionata fino a raggiungere gli standard che conosciamo oggi, dove telecamere dotate di IA sono in grado di riconoscere una persona con un margine d’errore pari allo 0,08%. Con lo sviluppo delle potenzialità del riconoscimento facciale sono presto arrivati anche gli usi illegittimi: non è un mistero, infatti, che il governo cinese abbia sfruttato le potenzialità di questa risorsa in maniera tutt’altro che etica, usandola per rafforzare il potere del regime sulla nazione tramite il tracciamento dei cittadini.

Per paura che simili eventi possano ripetersi anche al di fuori del territorio asiatico, negli scorsi mesi l’Unione Europea ha cominciato a discutere sui potenziali rischi costituiti dalle tecnologie IA, arrivando a concludere che qualsiasi tecnologia in grado di «manipolare le persone attraverso tecniche subliminali» sia troppo pericolosa per essere lasciata accessibile a tutti. È stata quindi elaborata una proposta di legge, attualmente ancora in fase di approvazione, atta a vietare tali mezzi in tutti i territori dell’Unione e le uniche eccezioni al momento previste riguardano casi come la lotta al terrorismo o la ricerca di vittime di rapimenti.

Un eccesso di zelo

Per quanto sia assolutamente d’accordo riguardo la necessità di mettere la sicurezza del cittadino al primo posto, personalmente ritengo che questo sia l’approccio sbagliato. Vietare in toto l’uso del riconoscimento facciale ai privati non è una soluzione valida, in quanto in tal modo si va ad eliminare uno strumento che potrebbe aiutare le aziende a vari livelli. Se ad esempio un centro commerciale volesse fare delle campagne per premiare i propri clienti più affezionati, indipendentemente da quali negozi frequentano all’interno della struttura, il riconoscimento facciale sarebbe un ottimo strumento per realizzarle.

Dato che la ricchezza di un Paese è direttamente proporzionale allo stato di salute delle proprie industrie, in quanto sono loro a far circolare il denaro e a dare lavoro alle persone, limitare a priori la diffusione del riconoscimento facciale come mezzo per incrementare il fatturato sulla base di un eventuale abuso è solo controproducente. Lo Stato per primo dovrebbe riconoscere che il problema non risiede nella tecnologia in sé ma nel modo in cui viene adoperata.

Quello che la legge dovrebbe fare, a mio avviso, è far sì che venga reso trasparente l’impiego e la presenza di questi strumenti al pubblico: come ho già detto nel mio articolo precedente la targettizzazione alla base del marketing moderno non va a svantaggio del consumatore ma a suo beneficio, portando alla sua attenzione solo annunci per i quali ha dimostrato interesse. La questione quindi non è eliminare il riconoscimento facciale, ma far sì che sia data sempre all’utente la possibilità di scegliere se essere tracciato o meno.

Se una persona è consapevole di essere profilata per scopi commerciali e sceglie di dare il suo consenso, dov’è il problema? In questo caso il cittadino sceglie volontariamente di dare in uso una parte ben definita dei suoi dati personali ad un’attività di cui si fida e il cui scopo è venire incontro alle esigenze del suo cliente. Ciò che deve essere prevenuto invece è la fuga di informazioni (data leak): ogni utente dovrebbe aver sempre sotto controllo le informazioni a lui legate, così che possa coscientemente decidere in ogni momento chi deve avere accesso a cosa.

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